Giancarlo Commare è Jamie, protagonista del musical manifesto dell’inclusività.
Debutterà il prossimo 8 marzo 2022 nei panni di Jamie Campbell al Teatro Brancaccio il siciliano Giancarlo Commare, attore di nuova generazione già beniamino del pubblico arcobaleno, che lo ha apprezzato in film come “Maschile Singolare”, così come nella fortunata serie “Skam Italia”. Il curriculum di Commare conta già molteplici partecipazioni a noti progetti televisivi e cinematografici ma, mancava all’appello, un’esperienza così completa e ardua come il musical, che affermasse la versatilità di un interprete pronto a mettersi in gioco e a forzare i propri limiti, soprattutto con un genere così trasversale. E Giancarlo si fa trovare pronto per la chiamata del regista Piero Di Blasio che, insieme alla produzione dello spettacolo, presenta agli aventi diritto inglesi un diamante grezzo pronto a illuminare il pubblico con il suo talento …o con la sua luce; perché è proprio di luce che parla “Tutti parlano di Jamie”, la stessa luce che si rivela nel momento in cui ognuno di noi, prende consapevolezza della propria essenza, non curandosi del pregiudizio e affermando il proprio status di essere umano. Al di fuori di ogni etichetta. È proprio sull’abbattimento di ogni barriera che un musical come Jamie fa leva e, Giancarlo Commare con la sua freschezza e la sua voglia di condivisione, arriva dritto al punto interpretando la storia vera di un adolescente che ha solo voglia di andare al ballo della scuola indossando un tacco da 15 cm. Tutto il resto è noia o, se volete, storia. Superata e obsoleta. Distante dalla moderna visione di insieme che punta dritto ad un futuro di diritti intersezionali, dove a vincere è l’essere umano.
Mucca TalkShock incontra Giancarlo Commare al termine della conferenza stampa di presentazione del musical che si candida come il nuovo manifesto artistico dell’inclusività.
Sei stato interprete di prodotti molto diversi tra loro, come “Il Paradiso delle Signore” o “Skam Italia”. Come si fa a passare da ruoli così diversi tra loro con così tanta facilità?
Il bello di questo lavoro è che incontri tante storie, realtà e persone che ogni volta rendono tutto molto diverso. Che possa essere il progetto di una serie, il cinema o una soap opera, il bello poi sta in quello, proprio in quella diversità di lavorazione e di persone. Ne “Il Paradiso delle Signore” per esempio, non c’era tempo di far nulla, a volte neanche la memoria dovendo lavorare su tante scene nello stesso tempo. Ricordo i due anni del “Paradiso” come due anni tosti, senza vita sociale, ma per cui sicuramente ne è valsa la pena.
In questi lavori così diversi tra loro, come si interseca un musical come Jamie, così avanti da essere anche più “moderno” di “Skam Italia”?
Sicuramente “Skam” ha portato il pubblico a fare dei passi in avanti verso le nuove generazioni ma sì, forse Jamie, con le sue dinamiche ancor più attuali, cambia davvero il punto di vista spostandolo più avanti. In questo musical non c’è più l’eroe che porta avanti il racconto, ma è l’eroe che viene trascinato dagli altri nel racconto. Jamie stesso alla fine viene tacciato di essere un supereroe dalla sua miglior amica Pritti, a cui egli stesso risponde “no, io non sono un supereroe, sono solo un ragazzo che vuole indossare un abito considerato da donna”. E questo tipo di risposta offre una lettura molto differente e più innovativa.
Al Roma Pride sei stato in Gay Croisette per presentare “Maschile Singolare”, insieme al regista Alessandro Guida e al tuo collega Gianmarco Saurino. Cosa ti ha convinto ad accettare quel ruolo e cosa ti ha portato ad accettare quest’altro?
In realtà è per lo stesso motivo. In entrambi i casi non ho accettato perché si parlava di una storia omosessuale. Tutti e due i protagonisti fanno un percorso per conoscere sé stessi e non la loro identità sessuale. Parlando di Antonio, lui fa un percorso per ri-trovarsi, per capire cosa gli piace fare e cosa lo attrae (perché lui era stato sempre la stampella di un altro, un marito da cui si separa e per la cui separazione deve imparare nuovamente a conoscersi). Nel caso di Jamie, lui è già pronto ma è la società che non è pronta a comprenderlo. Così Jamie si espone, talvolta facendo marcia indietro, ma sempre senza mollare in funzione della propria affermazione.
Cosa direbbe a Jamie ad un giovane ragazzo che ha paura di indossare dei tacchi?
Quello che Pritti dice a Jamie: “Non chiedere mai il permesso di essere te stesso. Fuori dall’ombra sei tu la luce”. E questo è per tutti. Non ci stiamo rivolgendo ad un pubblico prettamente LGBTQI+, la cosa che desidererei è vedere su queste poltrone il cosiddetto “bigotto di turno”, perché con questo spettacolo una persona più limitata ha l’opportunità e l’occasione di non essere più ignorante. E parlo di ignoranza alludendo ad un essere umano che ha la presunzione di poter dire cosa è giusto o sbagliato per un’altra persona. Basta. Ognuno deve avere la libertà di vivere come vuole, ma sempre nel rispetto degli altri.
Hai raccontato di aver iniziato a prepararti in casa, soprattutto con i tacchi. Com’è andata?
Ad un certo punto della fase iniziale della preparazione ho avuto il Covid e quindi ero chiuso in casa. Così Piero, il regista, mi ha portato i tacchi 15 a casa e io, per cinque ore al giorno, ho indossato i tacchi girando per le stanze. Oggi posso dire che non invidio le donne e che vado avanti a cerotti e pomate e ricordo la mia coinquilina che mi diceva, “Non si fa così! Sembri Maria De Filippi”… e quindi ho lavorato sodo e ho aggiustato il tiro, in funzione di una migliore performance e di una maggiore dose di femminilità.
Ti descrivi in tre aggettivi?
Non mi piace questa domanda, ma… sono sincero, a volte (anzi, quasi sempre) un “cacacazzi” soprattutto sul lavoro e, alla fine, ho capito una cosa che non è un aggettivo, ma ho capito in cosa mi identifico: l’Amore.
Intervista a cura di Roberta Savona